Dott.ssa Anna Bernardi
Quando l’Università diventa per molti studenti il luogo in cui allontanare esperienze emotive non completamente padroneggiate?
Come accade, che in un luogo deputato alla elaborazione di una realistica progettualità riguardo il futuro, si possa respirare un clima indefinito, instabile che non protegge dall’ansia ma al contrario getta un cono d’ombra che genera smarrimento e caduta d’illusioni?
Il giovane che intraprende un percorso universitario si trova ad affrontare il passaggio dalla tarda adolescenza alla prima età adulta attraversando dei mutamenti che prendono forma lentamente e spesso in modo impercettibile. Vive un’inevitabile disorientamento dovuto all’emergere di aspetti evolutivi complessi, aspirazioni personali e richieste della società.
E’ un periodo in cui affrontare forti cambiamenti di assetto psicologico. Dal faticoso processo di separazione-individuazione dalla famiglia al consolidamento del senso di identità. Avviene una trasformazione profonda che implica una vera e propria ristrutturazione del senso di Sé e necessariamente il disinvestimento di vecchi ruoli e l’acquisizione di nuovi.
Ma quale identità? Quale ruolo?
L’università può divenire luogo di crisi –nel senso psicodinamico del termine– perché lo studente non riesce a mobilitare le proprie energie per sostenere fino in fondo le difficoltà connaturate a realizzarsi in modo autentico.
Da un lato è spinto a chiarire, a far fronte ai propri desideri, ma nello stesso tempo il giovane adulto prova la sensazione di non avere una collocazione ben definita nel mondo, un posto certo da occupare.
Ecco a volte insorgere forme di malessere psicologico che possono essere rappresentate come un disagio dovuto ad un eccessivo numero di esami, alla durata degli studi, a difficoltà e blocchi nel proseguire il percorso intrapreso, da incertezze sulla scelta fatta, da problemi di scarsa comunicazione con i docenti, da una prolungata dipendenza dai genitori.
Ma sono queste solo delle razionalizzazioni che in realtà veicolano e sottendono qualcosa di più profondo, uno spostamento rispetto a fantasmi personali preesistenti e a dinamiche inconsce non risolte.
Si tratta di liberare energie imprigionate nei disagi affinché possano delinearsi come motivazione –espressione dinamica di un bisogno- e come impegno nell’accezione di investimento concreto nell’azione, responsabilità verso di sé e gli altri, capacità di continuità e prospettiva.
Occorre dare voce, trovare parole per raccontarsi, scovare nodi e scioglierli, esplorare la propria storia all’interno di spazi di chiarificazione interiore in cui poter assumere la consapevolezza della forza necessaria per raggiungere la propria realizzazione.
Nel setting terapeutico sono proprio questi gli obiettivi principali che si perseguono: accompagnare il giovane nel transito da un tempo all’altro, tollerando incertezze, fatiche, rischi, perdite ed avanzando insieme nella ricerca di senso e di risposte.