Si fa presto a dire Narcisista.
Oggi questa parola è usata e abusata. Tutti sembrano essere informatissimi. Quando una persona appare arrogante, vanitosa, egocentrica, invidiosa ecco che viene utilizzato con estrema frequenza l’aggettivo spesso accompagnato da un implicito o esplicito giudizio di condanna. Se per giunta si è letto qualche articolo, appaiono anche disinvoltamente termini quali “overt e covert” quasi a sottolineare quanto si sappia in materia. Non parliamo poi di quella che a ragione lo psichiatra Lingiardi definisce manualistica di autoaiuto con titoli come “Difendersi dai narcisisti”, “Il manipolatore narcisista”, “Disarmare il narcisista”, “Strategie per vincere col narcisista “.
Potremmo continuare: la lista è molto ricca e variegata.
C’è da chiedersi però a cosa serva tutto questo, del perché si perda di vista che il narcisismo è una patologia e pertanto una malattia, una condizione di sofferenza dell’organismo. È vero, il narcisista si manifesta in una forma sprezzante e aggressiva, è distruttivo nelle relazioni, manipola i rapporti e cerca una “vittima” camuffando la sua vera natura, ma è altrettanto vero che, se l’altro non tronca alle prime avvisaglie di stortura del rapporto, viene da pensare che forse è accecato da fantasmi personali. Potrebbe essere appropriato, in quel caso, interrogarsi sulle motivazioni che spingono a rimanere con quella tipologia di partner.
Ma al di là di queste considerazioni partiamo da una definizione utilizzata da Semi nel suo libro “Il narcisismo”
“Quando si parla di patologia narcisistica ci si riferisce a situazioni psichiche nelle quali una persona – benché con manifestazioni diversissime- non riesce ad avere un narcisismo sano, non riesce a godere profondamente, a sentirsi capace di amare, capace di modificare la realtà, di stabilire nuovi legami e di cercare nuove soddisfazioni. Queste persone hanno una fragilissima stima di sé, che va in frantumi per la minima frustrazione e reagiscono con esplosioni di rabbia inefficace più distruttiva per loro stessi che per gli altri.”
Se ci si sofferma sul non riesce usato in questa descrizione possiamo già evincere che l’espressione indichi una incapacità, un trovare ostacoli non superabili.
Nel narcisista a cui manca quel primario sentire che è dato, nella vita di ognuno, dalla capacità di investire sugli altri e provare affettività e nel quale è svigorito il piacere, il desiderare rimane solo l’orgoglio per sentirsi vivo, per fronteggiare quel senso di vuoto che lo affligge. Non si tratta però di quel sano orgoglio, amor proprio, auspicabile in ciascuno di noi in quanto ci consente di essere guardati, riconosciuti, di agire costruttivamente conquistando traguardi. Il loro è un orgoglio ipertrofizzato e se minacciato rischia di farli scivolare nell’inconsistenza, nel nulla. Ed è questa la dinamica fondamentale del narcisista: tentare ad ogni costo di mantenere stabile l’orgoglio per la vergogna di essere una nullità.
A questo scopo diventa indispensabile alterare il giudizio di realtà in modo più o meno grave.
I narcisisti sembrano convinti di avere dei diritti sulle persone. Non chiedono, vivono in una logica da tribunale in cui sono loro a stabilire cosa sia giusto che si faccia nei loro confronti. Ricorrono ad errori cognitivi alternando una grandiosità esplicita (quella che è fonte di grandi conflitti interpersonali in cui è presente un estremo senso di superiorità) a disprezzo. Non stanno bene, sono solo apparentemente trionfanti e soddisfatti, vivono sempre in grande conflitto.
Anche quando la grandiosità del narcisista non è manifesta è tuttavia sempre presente, celata da un aspetto riservato, modesto per paura sia del giudizio altrui sia di ricevere una ferita al valore personale.
Di fronte alla minaccia di un rifiuto questo tipo di narcisista iper-vigile, evita di relazionarsi, teme la frustrazione ed è come se si ritirasse e coltivare in questo distanziamento il proprio Sé grandioso.
Per contrastare l’umiliazione adotta atteggiamenti di manipolazione verso gli altri, senza empatia al solo scopo di garantirsi l’approvazione e l’attenzione continua. È mantenuto un bisogno compulsivo di essere ammirato e apprezzato ma accompagnato da sfibranti stati di inadeguatezza.
Difficilmente un narcisista arriva in terapia se riceve conferma dall’ambiente circostante. Ciò gli consente di rimanere autocentrato e convinto di Sé. Diversa è la situazione se qualcosa nella sua vita crolla: sconfitte lavorative, solitudini, insuccessi, rotture di rapporti. In questi casi la reazione dipende da quanto sia compromesso il giudizio di realtà.
Se gravemente alterato appare l’ostilità, la paranoia. Il narcisista comincia ad attribuire all’invidia e alla malevolenza degli altri le proprie disfatte. L’autostima è conservata, ma si sviluppa l’odio. Entra in uno stato di paranoia, di stati mentali di vera e propria minaccia fino ad arrivare a fenomeni di frammentazione e dissociazione. A questo si associano disturbi del pensiero, vergogna, umiliazione. Tutto ciò dà luogo anche ad atti rabbiosi e aggressivi (talvolta viene emessa una diagnosi errata di borderline, si tratta invece di narcisismo grave).
Se invece il giudizio di realtà non è eccessivamente alterato, se il fallimento viene percepito e riconosciuto come tale, il narcisista può accedere a una forma depressiva connotata da abulia (inerzia, mancanza di volontà) e anedonia (incapacità di provare appagamento e interesse). C’è una mancanza di scopi: al narcisista, già privo di quelli edonici (desiderio e piacere) e affettivi, viene sottratto anche quello della grandiosità.
È qui che la depressione appare come un segno positivo, di maggior funzionamento in quanto indica un conservato giudizio di realtà. A questo punto è probabile che si inneschi una richiesta di aiuto. Chi decide di intraprendere un percorso di psicoterapia è una persona che porta in sé una sorta di morte interiore. Sta sperimentando, sulla propria pelle, che il mondo non elargisce quanto immagina le sia dovuto: una trionfante realizzazione.
In questo quadro al di là di tutti i pregiudizi sul narcisismo, che sembrano crescere di giorno in giorno, è essenziale porre l’accento sulla non volontarietà di essere affetto da un disturbo anche se va a incidere in maniera altamente distruttiva sui rapporti interpersonali. I tratti distintivi del narcisismo, che comunemente sono condannati con termini che vanno da strafottenza a vanità, sono inconsci, caratteristici di una malattia.
Occorre fornire informazioni, sia al paziente sia ai famigliari in questa direzione, specie per essere accanto al narcisista quando si destabilizza. In terapia sebbene non sia affatto facile costruire un rapporto basato sulla fiducia e collaborazione, si può lavorare nella direzione di un miglioramento clinico ed un alleggerimento dei disagi personali e relazionali.