Dott.ssa Anna Bernardi
Ogni terapeuta, specie se di orientamento dinamico, ben sa quanto il superamento della paura dell’abbandono e della separatezza dall’altro sia una dimensione universale alla base di ogni processo di conoscenza, di ogni relazione d’amore.
La rinuncia all’immagine di unisono con l’oggetto primario è sostenibile solo se l’ambiente circostante ha saputo infondere fiducia e sicurezza. Diversamente ciò che viene compromessa è la possibilità di conoscenza di se stesso, dei propri bisogni da cui deriva un modo di rappresentarsi sempre e soltanto in relazione all’altro. Vengono pronunciate frasi rivelatrici ”Senza di te non esisto”, “Non posso vivere senza di te” a testimonianza di quanto quella persona necessiti di una controparte per esistere, crescere e definirsi.
A nulla valgono ragionevoli consigli di parenti ed amici. Lo stesso terapeuta si trova di fronte a dei racconti lucidi e convinti della propria condizione che sembrano immodificabili. Di seduta in seduta il clinico assiste quasi svigorito di fronte a tanta ostinazione, al ripetersi continuo delle stesse dinamiche.
È uno di quei casi in cui i nodi terapeutici si presentano per lungo tempo: a nulla varrebbero i tentativi di misurarsi con una massiccia resistenza che sfugge a qualsiasi tentativo di chiarificazione. Il paziente è incapace di controllare il proprio comportamento rispetto alla perdita e troppo doloroso sarebbe prenderne coscienza.
La pazienza, qualità essenziale dello psicoterapeuta, in tali momenti deve esercitarsi in tutte le sue componenti: calma, tranquillità, pacatezza. È necessario tollerare gli intrecci e anche la monotona ripetitività dei percorsi narrativi che si dipanano nel setting. Occorre saper attendere che nel dialogo e nell’ascolto emergano dei segnali che permettano di recuperare emozioni arcaiche legate al rifiuto, all’abbandono, alla svalutazione. Si tratta di trovare una comune superficie, un terreno in cui confrontarsi con le proprie angosce di separazione, punto cruciale del difficile percorso di costruzione della propria identità.
Mano a mano che si acquista consapevolezza del proprio processo di individuazione, si impara a non considerare più l’altro-non-responsivo, come il centro della propria vita. Attribuire nuovo significato alle dinamiche relazionali del passato, sposterà l’attenzione verso se stessi potenziando l’autostima, costruendo un più solido senso e valore di sé. Il tutto finalizzato ad approdare ad un incontro autentico con un eventuale partner, senza negare i propri contenuti interni e facendo esperienza della mancanza senza esserne travolti.
Ogni terapia richiede il “tempo giusto”: non anticipa, né posticipa ma sa attendere che si modifichino aspettative irrealistiche, che ci si distacchi dai legami fondati sulla necessità perché solo nella differenziazione e nell’autonomia si può trovare la spinta vitale per crescere ed evolversi.