Dott.ssa Anna Bernardi
Una necessaria precisazione
Addentrandosi nella tematica della depressione, occorre doverosamente esplicitare che non esiste una sola forma di depressione e fare un discorso generalizzato sarebbe semplicistico e fonte di fraintendimenti. La definizione stessa della parola, apparentemente conosciuta e chiara nel linguaggio comune, quando si traduce in concetti, nozioni, riferimenti rischia di rimanere nel vago o cadere nel prolisso.
Da un punto di vista clinico per riferirsi ai diversi disturbi depressivi i due sistemi principali di classificazione attualmente in uso sono il DSM 5 e l’ICD 10, ma nonostante la presenza di criteri anche dettagliati, fare una diagnosi di depressione non è sempre facile a meno che il paziente presenti l’intera e grave costellazione dei sintomi depressivi.
Data questa necessaria premessa i disturbi dell’umore sono un insieme di sindromi chiamati anche “disturbi affettivi” fortemente influenzati da fattori genetici, biologici, psicologici, sociali nei quali si è soggetti a delle intense alterazioni dell’umore. Tali variazioni possono divenire abnormi e patologiche, durare nel tempo ed avere delle notevoli ripercussioni in tutte le aree di vita della persona.
L’esperienza della depressione
Esperire uno stato depressivo significa essere risucchiati nel gorgo di una sofferenza profonda, lacerante, in cui appare inaridito ogni slancio vitale. Diminuzione dell’energia, perdita dell’appetito, spossatezza, sintomi gastrointestinali, dolori inspiegabili, rallentamento o agitazione psicomotoria. E ancora: ruminazioni su pensieri di colpa, rovina, malattia, povertà, morte accanto a continui sentimenti di tristezza, preoccupazione, scarsa stima di sé, impotenza, incapacità, perdita di energia, speranza e progettualità.
Oppure mutamenti d’umore bruschi, improvvisi con periodi “bui e neri” di sconforto, disperazione, sensazioni di vuoto che si alternano ad euforia, elevata espansività ed invulnerabilità, con comportamenti disinibiti, tendenza a lasciarsi coinvolgere in attività avventate e rischiose, inconcludenti in cui la vitalità sembra essere talmente tanta da perdere la necessità di mangiare o di dormire.
Alla base di tutti questi vissuti a partire da Freud, i principali studiosi in ambito dinamico hanno rilevato la presenza di una perdita e di una impotenza di fronte a questa mancanza reale o immaginaria. E dunque nelle storie di chi è colpito da depressione si possono rintracciare come cause scatenanti delle perdite che riattivano sentimenti di abbandono, di assenza, di indegnità di essere amati. Ogni comportamento messo in atto per riacquistare l’oggetto, come mostrarsi perfezionisti, competitivi, raggiungere ottimi risultati in ogni campo o al contrario presentarsi fragili e indifesi è vano. Non si riesce ad accettare la perdita. Permangono un senso di inutilità e un intenso desiderio di essere accudito e protetto.
Il depresso finisce con il restare in attesa di un risarcimento per ciò che non è stato, autorappresentandosi come sofferente, vittima e raffigurando l’altro come inutile e inadeguato a rispondere ai suoi bisogni.
Un primo passo per riemergere dall’abisso è pertanto rinvenire le tracce di quella perdita, nominare e attraversare la sofferenza per ricercarne i significati nascosti e per riuscire a creare nell’involucro scuro della depressione delle brecce di speranza.