Dott.ssa Anna Bernardi
L’esperienza dell’attacco di panico
“… e il Dio Pan, divinità dei boschi e della natura, mezzo uomo e mezzo animale si aggira per le foreste, con il suo aspetto spaventoso e inquietante. Insegue le Ninfe ed appare all’improvviso con un urlo agghiacciante. Potente e selvaggio genera paura, sgomento, orrore, sbigottimento. Poi si allontana, ma lascia nell’aria l’ombra della sua presenza e minacce sospese: tornerò ma non saprete quando e dove…”
Leggendo queste brevi righe si è coglie gran parte dell’essenza dell’attacco di panico.
Un fenomeno che sembra arrivare dal nulla, del tutto inaspettato ma che esplode proprio come l’urlo agghiacciante di Pan e che fa vivere un penoso senso di impotenza e di mancanza di controllo. Cuore che batte furiosamente e senza sosta, respiro affannoso, vuoto alla testa, vertigini, formicolio, torpore, dolore al petto. Perdita di contatto con se stessi e con la realtà e una sensazione di catastrofe incombente. La percezione di stare davvero per morire. E tutto questo sembra completamente immotivato e privo di senso.
È un vissuto terribile, che fa stare tremendamente male che suscita allarme e un enorme timore al solo pensiero che possa ripresentarsi. Si arriva al punto di cambiare determinati comportamenti e ad innescare una serie di strategie preventive pur di non tornare a sentirsi esposti a forze così prorompenti che sembrano trascinare e travolgere senza alcuna possibilità di via d’uscita.
E avviene anche che si finisca con il ritenere la propria casa come il luogo più sicuro nel quale scongiurare il riapparire dell’attacco di panico e spesso si ricerca all’interno della famiglia uno o più membri come punti di riferimento per affrontare l’ambiente esterno.
La ricerca di significato
Se come è noto ogni sintomo rappresenta un segno che l’inconscio lancia per comunicare alla coscienza l’esistenza di un conflitto, è indispensabile che tali messaggi siano accolti e decodificati all’interno di una psicoterapia per comprendere di quali problemi si tratta e di come essi si siano originati. Nell’attacco di panico più che in altri contesti questo principio sembra essere invalidato dall’apparente irrazionalità del sintomo.
Cosa può essere trasmesso attraverso un’esperienza così turbinosa, repentina che comporta palpitazione, fame d’aria, tremore, percezione annebbiate e distorte, perdita delle coordinate spazio temporali, terrore di impazzire e di morire? Come si può attribuire un significato comunicativo a sintomi del genere?
Si può.
Per quanto inspiegabile possa sembrare l’uragano neuro-vegetativo che si abbatte su chi viene colto da un attacco di panico, assumendo la prospettiva analitica tutti i sintomi vanno letti come una metafora ossia una sostituzione: qualcosa sta al posto di qualche altra cosa.
Questo spostamento rende tutto più enigmatico ma il “codice” si può decifrare. Il sintomo rappresenta il miglior compromesso che si è creato a livello intrapsichico fra tendenze opposte. C’è in esso un profondo significato che rimanda alle vicende più intime della persona: scelte, desideri non espressi, rimozioni rispetto a sensazioni e pensieri che vanno ricostruiti, esplorati, compresi.
Se ci soffermiamo a scandagliare dentro di noi ciò che scatena l’attacco di panico forse, anche se solo in parte e in modo ancora nebbioso, potremmo da soli identificare il problema alla radice.
Alla base dell’attacco di panico si può rintracciare un particolare modo di esistere, uno stile di vita e una identità rigida e forzata. In una parola si è ”compressi” e da qui l’esplosione. Ci si ostina a reprimere la propria vera natura ad interpretare sulla scena della vita una parte che si dovrebbe lasciar andare per fare posto a qualcosa di più autentico che sia in risonanza con ciò che nel profondo sentiamo di essere.