Dott.ssa Anna Bernardi
Tratteggiare le caratteristiche della personalità del bullo è un compito complesso.
Il bullismo si manifesta in molteplici forme individuali e di gruppo ma nonostante esista un pattern ricorrente e prevalente di prevaricazione (intenzionalità, persistenza nel tempo, asimmetria nella relazione) sono varie le tipologie personali che la esprimono.
Il bullo può essere un ragazzo che appare sicuro di sé, con un senso di superiorità rispetto alle regole e spesso dotato di prestanza fisica che ha bisogno di affermarsi in un gruppo con la forza.
Può generare negli altri attrattiva o addirittura simpatia.
Al polo opposto si può trovare il bullo cosiddetto “vittima provocatrice” che non possiede carattere e forza propria ma è attratto dalla aggressività e dalla violenza, ricerca e si inserisce frequentemente in situazioni di litigio.
E’ colui che in genere causa irritazione e tensione nel gruppo e che va alla ricerca dei più deboli per accanirsi con prepotenza su di essi e cercare di compensare proprie frustrazioni.
Esiste poi il capetto antipatico e temuto, che crede di essere al di sopra degli altri e che concepisce un sistema di rapporti basati solo sul dominio.
Senza entrare nella patologia che potrebbe portare, fra le altre manifestazioni, ad atti di bullismo (basti pensare ai disturbi della condotta o narcisistici) e non soffermandosi a delineare altri profili di bullo, appare importante raggiungere una più approfondita comprensione di ciò che sottende il fenomeno.
In letteratura sono presenti numerose ipotesi eziologiche del bullismo che ormai da tempo è trasversale a tutte le fasce economiche. Come la gran parte delle problematiche comportamentali ed emotive di rilievo clinico, nella ricerca delle cause non ci si può ricondurre ad un unico fattore ma è necessario fare riferimento ad un intreccio fra caratteristiche temperamentali proprie del ragazzo, il contesto socio ambientale: la famiglia, la scuola, il gruppo di pari.
Analizzando la dimensione psicologica del bullo si può innanzitutto considerare che dietro la sua presunta supremazia si nascondono fragilità e paura, una incapacità di assumere la prospettiva degli altri, una difficoltà generale nella mentalizzazione che non gli permettere di prefigurarsi le sofferenze che procura. Questo meccanismo è simile al disimpegno morale che, secondo Bandura, consente al soggetto di evitare il senso di colpa e di legittimare quindi condotte riprovevoli.
Un secondo aspetto di riflessione riguarda le emozioni che vengono agìte attraverso il bullismo: provocazione, trasgressione, aggressività, rabbia. Tali sentimenti e comportamenti umani hanno sempre un significato. La ricerca del ”senso” trova fondamento nella convinzione che dietro un disagio si nascondano vicissitudini legate ad un profondo compromesso affettivo.
E’ importante chiedersi perché in quel determinato ragazzo l’aggressività, che nelle varie fasi evolutive è funzionale alla crescita in quanto permette di confrontarsi, reagire, difendersi, costruire rapporti venga invece ad assumere una connotazione esclusivamente negativa. E ancora, appare necessario domandarsi come si può arrivare a non riuscire a cogliere i segnali emotivi dell’altro e a percepire la dimensione relazionale esclusivamente basata su rapporti di forza e di dominio sugli altri.
In ambito psicologico l’accoglienza del “bullo” deve partire dalla convinzione che l’immagine del ragazzo sicuro ed autoaffermato corrisponde ad uno stereotipo che potrebbe nascondere inadeguatezze, tensioni, una solitudine di fondo e sofferenze legate ai legami affettivi. Un corretto approccio psicoterapeutico che affondi le sue radici nella storia personale del ragazzo, si focalizza non sul comportamento problematico ma sulle emozioni che lo hanno generato e sulle modalità di strutturazione del disagio a partire dalla prime fasi di sviluppo.
Occorre che il clinico sappia infondere sicurezza e senso di affidabilità, che usi un linguaggio e delle modalità consone all’età per consentire al ragazzo di esprimere quello che prova.
Un ragazzo che compie atti di bullismo non è stato guidato a riconoscere e denominare le forti emozioni le quali spesso generano in lui disorientamento e angoscia in quanto non possiede strumenti adeguati per fronteggiarle ed elaborarle.
Durante il percorso terapeutico si dovrà aiutarlo ad apprendere cosa sente e perché, ponendo una specifica attenzione condivisa sui suoi stati mentali. Tutto ciò permetterà di ricostruire eventi e comportamenti e di ricondurre le azioni al sentire, unica strada attraverso la quale è possibile mettere in relazione causale qualsiasi azione alla complessità del proprio mondo interno.
Il fenomeno del bullismo per la sua specificità relazionale non può comunque essere affrontato solo con interventi personali sul ragazzo, ma necessita di un approccio multidimensionale che ponga in atto azioni mirate nei vari ambienti di vita. Solo così si potranno raggiungere obiettivi di prevenzione dei rischi e pervenire ad una migliore e più completa comprensione sulle dinamiche su cui si fonda il bullismo.
Bibliografia
Fonzi A., Il bullismo in Italia, Firenze, Giunti, 1998
Sunderland M., Aiutare i bambini pieni di rabbia, Trento, Erikson, 2005
Fonagy P., Target M., Attaccamento e Funzione Riflessiva, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001